In data1 2.04.2025, gli studenti e le studentesse delle classi 4ªES1 e 4ªES2, accompagnati dalle docenti, Bastone, Di Gioia, Zembla, hanno visitato l’Istituto penitenziario di Arienzo: un’esperienza unica e affascinante per le emozioni che ne sono scaturite; sin da subito ci ha colpito quell’enorme cancello che separa il mondo esterno dal carcere, quelle mura così imponenti all’interno delle quali, si mostrava una realtà concreta, fatta da vissuti quotidiani , di vite parallele simili ai nostri vissuti. Il carcere di Arienzo giuridicamente è una casa di reclusione che ospita circa 100 detenuti maschi, è un ambiente piccolo dove i ristretti hanno più possibilità di essere seguiti e quindi con un programma di rieducazione più efficace, ai fini del reinserimento sociale che rimane comunque l’obiettivo primario della pena detentiva. Il detenuto è una persona che, privato della libertà per aver commesso un reato, nel carcere ha la possibilità di comprendere gli errori commessi riappropriandosi dei valori fondamentali della libera e pacifica convivenza, con la speranza di potersi riscattare e di rifarsi una nuova vita se il trattamento rieducativo raggiunge il suo obiettivo. Appena giunti sul posto siamo stati accolti cordialmente dall’Ispettore di polizia, dr. Visconti e da figure specializzate, quali: due agenti di polizia penitenziaria, una psicologa, una criminologa, una funzionaria giuridico-pedagogica, e successivamente si è aggiunta una docente che cura l’istruzione dei detenuti. Grazie alle loro testimonianze e, incalzati, dalle nostre domande, ci hanno presentato il particolare mondo del carcere e come è organizzata la vita dei ristretti all’interno della struttura. Ne è seguito un dibattito molto stimolante e arricchente per noi studenti, desiderosi di conoscere tutti i dettagli della vita dei detenuti appagando tutte le nostre curiosità. L’ispettore Visconti nella sua narrazione ha citato più volte l’articolo 27 della Costituzione, norma principe dell’ordinamento penitenziario, che sancisce la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, sottolineando più volte l’importanza di detta norma in relazione alla funzione rieducativa della pena. Ci ha spiegato come il detenuto debba seguire un trattamento rieducativo, finalizzato al reinserimento sociale che è distinto dal trattamento penitenziario vero e proprio, che riguarda invece la vita propria del detenuto, in relazione al vitto, alla cura della persona , ai colloqui con i familiari, ecc… Per quanto riguarda il trattamento rieducativo, la partecipazione attiva allo stesso comporta la possibilità di ottenere diversi benefici e quindi una progressiva restituzione della libertà. Si sono toccati, inoltre temi importanti, che purtroppo balzano continuamente agli onori della cronaca, ovvero i suicidi in carcere. Ci è stato spiegato che il tasso dei suicidi in carcere, relativamente può determinarsi dal sovraffollamento delle carceri, ma nella maggioranza dei casi sono attribuibili dalla condizione di fragilità emozionale e caratteriale che vive il detenuto all’interno del carcere e molto spesso coincide con la mancanza del supporto familiare: chi viene in carcere, purtroppo, molto spesso viene da ambienti degradatati, di subcultura , dove la famiglia non è riuscita ad assolvere alla sua funzione educativa, e quindi nel carcere, questa condizione, unita alla restrizione alla libertà personale, amplifica ulteriormente le ferite diventando feritoie da cui è impossibile uscirne.
Molto interessante è stata anche la testimonianza della docente dell’istituto, la quale ha sottolineato l’importanza dell’istruzione, della cultura come presupposti importanti nella formazione e crescita dell’individuo: armi potenti di riscatto in una società sempre più dura e lontana da quei valori di rispetto, di inclusione, di giustizia che edificano l’essere umano. Purtroppo il detenuto molto spesso viene da ambienti in cui la povertà educativa, la fa da padrone ed è humus che favorisce la costruzione di personalità devianti e diventa stile di vita normale. La docente ha evidenziato, inoltre, che ci sono ancora persone completamente analfabeti e il carcere diventa occasione per poter studiare ed acquisire la licenza elementare o media. Con molto orgoglio, la docente sottolineava che quest’anno nell’istituto di Arienzo ci saranno 8 persone che acquisiranno il diploma! E questo è sicuramente un grande successo per gli operatori che si dedicano con amore al recupero dei detenuti.
Dopo il proficuo colloquio, ci siamo spostati all’esterno della struttura, e insieme agli operatori, percorrendo tutto il perimetro dell’istituto, abbiamo visto le finestre sbarrate che corrispondevano alle celle dei detenuti e dalle quali gli stessi scorgendosi intravedono solo un muro alto di cemento armato bianco che divide le loro vite dal resto del mondo. Abbiamo inoltre potuto osservare da vicino le aree dedicate ai detenuti dove avvengono i colloqui con i loro familiari.
Un altro momento significativo è stato la visita all’area verde dei colloqui, uno spazio all’aperto che, nei mesi più caldi, consente incontri più sereni e umani, in un ambiente meno formale, anche per tutelare coloro che hanno dei figli. La giornata si è conclusa in una maniera inaspettata, infatti ci hanno offerto un ricco aperitivo che lo abbiamo condiviso con tutti i presenti che si sono dimostrati non solo disponibili ma anche straordinariamente gentili, ed è stato un momento veramente bello ed informale.
Questa visita ci ha offerto diversi spunti di riflessione: abbiamo visto un mondo complesso, fatto di regole, di restrizioni, di limiti, ma anche di tanta umanità e dedizione da parte di chi lavora quotidianamente nel tentativo, a volte difficile di ricostruzione e reinserimento sociale di tante vite verso opportunità nuove e di rinascita. Una giornata intensa, che difficilmente dimenticheremo!
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